SAN DOMENICO ABATE
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La vita - Cronaca

degli autori



PREMESSA

I contemporanei di San Domenico non ci hanno lasciato in eredità nessuna narrazione storica della sua vita. Ci sono ricostruzioni successive, essenzialmente basate sullo studio di ciò che si sa sullo sfondo storico, nel quale egli ha operato, interpolato con la tradizione agiografica che è stata tramandata per iscritto, e con altri frammenti di notizie, ricavati da atti di fondazione o donazione o dalla Chronica Monasterii Casinensis. I vari autori hanno fatto un lavoro di ricostruzione storica, non senza grandi difficoltà di interpretazione, specialmente in relazione all'autenticità ed alla utilizzabilità storica delle fonti agiografiche. Sono emersi dubbi sulla paternità della Vita di Giovanni e sulle fonti dalle quali ha attinto Alberico. Sono spuntati fuori errori di trascrizione dei copiatori dell'epoca e divergenze interpretative sull'origine del testo dei Miracoli, riportato nell'Analecta Bollandiana. Si è creata una certa antitesi tra la Vita di Giovanni (cit.1) e la Vita di Alberico (citt. 2 e 3). Sono emerse ipotesi di interdipendenza tra le due tradizioni, sulla base dell'esame del dossier agiografico analizzato dai Bollandisti, nel 1882.
Al di là delle varie e possibili interpretazioni, più o meno motivate, le fonti agiografiche (le due sopra menzionate versioni della Vita ed il compendio dei Miracoli) sono da ritenersi almeno valida traccia storico - cronologica della vita del Santo, anche perché, scritte in tempi diversi e in ambiti cenobitici diversi (gli storici sono concordi nell'affermare che Alberico non sapeva dell'esistenza della Vita di Giovanni), hanno conservato una sorta di parallelismo, nel percorso geografico ed in quello di santità (aspetto ascetico e aspetto apostolico) del Santo stesso; non ci sono, poi, contraddizioni sostanziali. E' il segno decisivo che entrambi gli autori hanno attinto nella società di allora raccogliendo le fresche testimonianze. L'uso che sia stato fatto di queste testimonianze è sotto gli occhi di tutti. Come afferma Sofia Boesh Gaiano, nel suo trattato "Tradizione agiografica di San Domenico di Sora" (cit. 12), la Vita di Giovanni accentua oltremodo l'opera apostolica a Trisulti , rispetto agli altri luoghi, e risulta più squilibrata; in ogni caso, descrive un Santo che opera contro tutte le forme di corruzione della vita pubblica e privata, dei religiosi e del resto del popolo, fortemente virtuoso: le costruzioni cenobitiche, i miracoli, le guarigioni, le punizioni, i discorsi alle genti. In una parola, potrebbe essere un quadro molto vicino a quello che oggi chiamiamo "l'ideale collettivo del santo" nella gente. La Vita di Alberico, invece, è più equilibrata, più diffusa nel raccogliere l'itinerario che il Santo ha percorso ed a tracciarne i connotati di santità, nelle dimensioni spirituale e morale, evidenziandone in maniera globale ed importante il diuplice cammino: crescita verso la perfezione, con la vita eremitica, ed evangelizzazione, con le numerose costruzioni cenobitiche. Un quadro più vicino all'ideale di santità canonica, ma senz'altro più integrale ed universale.
Bisogna annotare che il passaggio di San Domenico è una ricchezza che è rimasta profondamente radicata nel cuore di coloro che, ancora oggi, vivono nei luoghi che lo hanno visto protagonista. La forza di tale ricordo sta nelle profonde radici cultuali della sua memoria. Luoghi come Sora, Villalago, Fornelli, Cocullo, Pretoro, Villamagna o Palombaro, hanno tradizioni che si disperdono nei secoli e non sono certo legate alla conoscenza o meno di questo o di quel testo sulla vita del Santo. Ovviamente, ci sono casi in cui tale culto ha subito delle distorsioni, con un eccessivo simbolismo, ma la forza con la quale rimane integra la devozione al Santo, a 1000 anni di distanza, è senz'altro stupefacente. Entrando nel vivo, l'obbiettivo di questo testo sulla vita di San Domenico Abate non è assolutamente quello di riscriverla, ma quella di ripercorrerla, correlando i luoghi di allora con quelli di adesso e puntualizzando quali siano stati i momenti di maggiore intensità.

LA RICERCA EFFETTUATA

Questo lavoro ha avuto lo scopo di: ricercare le fonti e le più autorevoli interpretazioni della vita di San Domenico, mettendole in relazione con i riscontri sul territorio che sono stati opportunamente individuati. Non abbiamo la presunzione di aver scritto la parola definitiva sulla vita di San Domenico, né di averne fissato tutti i momenti secondo una scientificità inoppugnabile, quanto mai impensabile, per un fenomeno di cui, tutto sommato, ci sono arrivati pochi documenti, in confronto alla grande importanza ed al grande clamore che suscitò. Il nostro è il tentativo di organizzare le cose, con un taglio narrativo - giornalistico, accessibile a tutti, utilizzando anche gli ultimi studi fatti dagli autori più recenti che si sono occupati dell'argomento.
La vita di San Domenico, quindi, è stata analizzata a tre livelli:

Avremmo potuto dare anche un quadro completo unico e contenente tutte le informazioni così stratificate, ma ne avrebbe avuto grave danno la linearità ed il defluire dello svolgersi degli eventi, divenendo troppo carico di precisazioni e divagazioni dal tema principale.
Del resto, tutti e tre i passi sono organizzati secondo la stessa cronologia e non è difficile seguirli ed associarli tra loro.

LA CRONACA DELLA VITA

Nel 951, a Colfornaro di Capodacqua presso Foligno (Fulginium), nella terra del ducato di Spoleto, da Giovanni e Ampa (o Apa) nasce Domenico. E' una famiglia di notabili dell'epoca, che possono fornire al figlio una istruzione elevata. Quasi subito, però, l'atteggiamento di Domenico si dimostra piuttosto scevro dai sollazzi e dagli svaghi della giovane età. I genitori decidono di affidarlo alle cure ed all'educazione dei monaci benedettini del monastero di San Silvestro curasero, a Foligno Il giovane cresce, studia, si istruisce ed il suo animo si eleva verso Dio, al punto tale che gli viene conferita l'ordinazione sacerdotale, ancora prima di avere quella monastica. L'uomo di Dio comincia già ad essere celebre in città per le sue elevate virtù, quando decide di lasciare la sua terra, per una maggiore solitudine, per una migliore comunione con Dio. Si trasferisce, così, nel monastero della Vergine Maria a Pietra Demone, nei pressi di Orvinio (RI), sotto la protezione dell'abate Dionisio. Lì continua il suo cammino di fede e di studi fino ad arrivare, nel 974, a vestire l'abito monastico di San Benedetto da Norcia, abbracciando la celeberrima Regola: "Ora et Labora". Si stava vivendo un periodo buio per il fenomeno del monachesimo e del cristianesimo intero. I costumi erano corrotti, la Chiesa era alla mercé dei potenti che imponevano le personalità che meglio potevano curare i loro interessi economici. Peraltro, la fobia della fine del mondo, in corrispondenza della fine del millennio, aveva messo la Cristianità al centro di un enorme mercato dove, in cambio di sole donazioni e lasciti, era garantita la salvezza. Anche i monaci di Montecassino, sbandati da una incursione saracena e dallo stato generale delle cose, non esercitavano più la loro grande funzione evangelizzatrice; finché l'abate Aligerno non riprese possesso del monastero ed iniziò l'opera di "ricostruzione" essenzialmente spirituale, dei monaci cassinesi. Un processo che fu avviato con grande fatica, ma che prese avvio anche all'estero, come a Cluny in Francia, culminò con l'avvento riformatore di Gregorio VII e, successivamente, con la nascita di altri importanti ordini religiosi, come i Domenicani ed i Francescani. Domenico fu volano di grandissimo rilievo di quel processo di riforma pre - gregoriana.
Il nuovo monaco viene inviato a Montecassino dall'abate Dionisio affinché, sotto la guida dell'abate Aligerno, accresca ulteriormente lo spirito, per prepararsi alla sua missione evangelica. Dopo pochi anni, Domenico è pronto e lascia il monastero di Montecassino per donarsi alla vita di chi anela alla perfezione in Dio: la vita eremitica. Dopo una visita alla tomba del Patriarca, S. Benedetto Abate, a Subiaco, torna in Sabina, sul monte di Scandriglia (RI), vi costruisce una cella e vive con preghiere, digiuni e mortificazioni della carne.
Ma accadrà che, durante tutta la vita di San Domenico, ogni qualvolta avrà trovato la pace nella sua vita eremitica, sarà chiamato a diffondere la parola di Dio tra la gente ed a cristallizzarne la presenza con importanti costruzioni cenobitiche. E' come se Dio, periodicamente, distogliesse il suo "strumento", Domenico, dalla sua pace eremitica, per impiegarlo in opere di santità a favore degli uomini. Scoperto nella sua santità dagli abitanti della zona, inizia a tracciare quell'importante solco della rievangelizzazione delle terre dell'Italia Centrale, caldeggiata e sostenuta almeno da due Pontefici: Giovanni XV e Giovanni XVIII. E' proprio Giovanni XV che autorizza la costruzione del monastero di San Salvatore, presso Scandriglia (RI), richiesta al Santo da Uberto, marchese della Sabina, lanciando l'inarrestabile opera di questo monaco, nelle mani di Dio. Ultimata l'opera e messovi a capo un monaco di provata fiducia, Domenico, insieme a Giovanni, parte per un viaggio e si ferma sul monte Pizi (identificato con i monti Pizi, a sud - est del massiccio della Maiella, in provincia di Chieti). Vi costruisce una chiesa della SS. Trinita e due romitori (individuati a Pizzoferrato (CH)), per alloggiarvi. Vi rimangono per qualche tempo, vivendo in contemplazione. Scoperto, Domenico viene pregato dai signori del luogo di costruire due monasteri. il Sant'uomo accoglie le richieste e, con le loro offerte, riesce ad edificare il monastero della SS. Trinità, in cima al monte Pizi, ed il monastero della Vergine Maria, a valle, nei pressi del fiume Aventino (entrambi localizzati nel territorio di Lettopalena (CH)). Ultimate le costruzioni, Domenico le affida a religiosi di fiducia e riprende il cammino, alla ricerca di un luogo remoto e sconosciuto.
Giunge in una valle angusta e selvaggia, in una località chiamata Prato Cardoso, nei pressi dell'odierna Villalago (AQ), e vi si stabilisce insieme a Giovanni. Il suo carisma però diviene dominio di tutti e, dopo poco tempo, il Conte Oderisio (Randisio) dei Marsi, va a fargli visita, per pregarlo di edificare un monastero su quelle terre. Domenico acconsente e fonda il monastero di San Pietro in Lacu, sulla montagna prospiciente Prato Cardoso, dotato di 15 grancie dipendenti. In tutti i luoghi dove fondò monasteri Domenico non svolse solo la funzione di costruttore dell'edificio, ma costruì anche la società che era destinata a popolare il cenobio, dentro e fuori. Dopo aver individuato esattamente il luogo, secondo canoni ricorrenti, come l'esposizione cardinale o la presenza di una sorgente di acqua, provvide alla costruzione materiale dell'opera. Quindi, cercò e scelse i religiosi che dovevano vivere dentro il monastero e richiamò gente, oltre che per la costruzione, anche per l'avvio e la conduzione di tutte le attività che erano connesse, come l'agricoltura e l'artigianato. I monasteri furono centri di cultura e civiltà, in special modo nei luoghi arditi e remoti dove, spesso, Domenico scelse di stabilirli. Senza contare che le donazioni di terreni e beni che accompagnavano i magnanimi gesti dei signori locali avevano bisogno di essere amministrati e sfruttati. Questo fu un altro aspetto che accompagnò il peregrinare del Santo. Intorno ai cenobi, nacquero entità rurali, per esempio Villalago e si avviò l'economia del luogo, si conobbero ed applicarono le tecniche di coltivazione, sviluppate dai benedettini, si risvegliò l'artigianato ed un minimo di commercio. Le popolazioni rurali ebbero un punto di riferimento ed anche un istituto che li proteggesse dalle incursioni e dalle usurpazioni nemiche.
Completato il tipico iter di costruzione ed avvio del monastero, Domenico si ritira a Prato Cardoso (chiamato anche Plataneto di Monte Argoneta) e vi dimora per 6 anni. Di tanto in tanto, si reca a far visita al monastero di San Pietro in Lacu, affidato a religiosi di provata fede. E' a Prato Cardoso che ha le due visioni ultraterrene. Una notte, vede innalzarsi, dal luogo in cui si trova, una colonna di luce, infinitamente alta e con i colori dell'arcobaleno, come ad unire la terra ed il cielo. Un'altra notte, vede innalzarsi tre colonne di luce intensissima; viene rapito da una forza sconosciuta che lo colloca alla sommità delle tre colonne, da dove scruta tutto il mondo. Rivela le due visioni al solo fido Giovanni, con la consegna di non renderle note prima della sua morte.
Il Santo non avrebbe mai lasciato quel posto, ma la sua opera di evangelizzazione non può finire. Il Conte Borrello Maggiore dei Marsi, figlio di Oderisio, prega Domenico di fondare un altro monastero nella terra del Sangro. Adempie anche questa volta alla richiesta. Fonda il monastero di San Pietro Avellana, presso l'attuale omonima località in provincia di Isernia. Anche quest'opera viene dotata di larghissimi possedimenti. E' la sua ultima fondazione in terra d'Abruzzo e, dopo i consueti rituali passaggi di consegne nelle mani di probi religiosi, Domenico riprende il cammino, deciso a tornare verso il basso Lazio, allora chiamato "Campania" o "Terra di Lavoro". Giunge ad una asprissima valle. Il costone soprastante, il monte Porca, presso Trisulti di Collepardo, gli pare un luogo perfetto per il suo eremitaggio. Anche qui, con il fedele Giovanni, si ferma a pregare, a mortificare la carne e ad elevare lo spirito verso Dio. Per tre anni vivono senza essere scoperti; per un caso fortuito, gli abitanti della zona si accorgono della presenza del Santo e le sue gesta, subito, destano l'applauso di quei luoghi. La tradizione riferisce che, in questa occasione, l'idea di fondare un monastero sia stata fornita a Domenico direttamente da Dio, tramite un Angelo. E' certo, comunque, che, diffusasi la sua fama, Domenico abbia ricevuto donazioni dalle comunità locali. Sta di fatto che nasce il monastero di San Bartolomeo, presso Trisulti. Domenico, però, a seguito della sua efficace attività di rievangelizzazione, dietro richiesta delle numerose donne che intendono darsi Spose a Cristo, fonda anche il monastero di San Niccolò di Mira (San Nicola di Bari), a Trisulti, sul costone opposto della valle, dirimpetto al primo, dedicandolo all'esercizio monastico benedettino delle donne. Le due fondazioni sono unite da una tortuosa stradina che, sul torrente che scorre a fondovalle, passa su un ponte. Su quel ponte, Domenico catechizza ed insegna alle due comunità religiose che, lasciati i rispettivi monasteri, si trovano riunite sulle due sponde del torrente Fiume. Sarà denominato "Ponte dei Santi".
Con la sua opera, fortemente esercitata sulla società di allora, Domenico portò una importante ventata di religiosità cristiana, un deciso richiamo ai costumi ed il ristabilimento dei timore di Dio negli uomini. I suoi miracoli, spesso di grande effetto visivo, spesso drastici e decisi, oltre a dimostrazione della sua santità, tesero a ristabilire con chiarezza la differenza tra il bene ed il male: un esempio per tutti è il miracolo del masso arrestato a Trisulti con il semplice segno della croce. Il male veniva estirpato dalla "Mano di Dio": Domenico. Nell'epoca in cui visse Domenico, poi, oltre alla parola, importante, avvincente, come quella del discorso nella chiesa di Sant'Angelo, a Vico del Lazio, o del discorso di commiato nella chiesa di S. Maria di Cannavinnano, a Trisulti, era importante l'esempio, l'azione. Egli non era sprovvisto di conoscenze; era colto e, avendo studiato a lungo nei monasteri benedettini, conosceva i rimedi della medicina del tempo. Così, al fianco delle sue grandi virtù, concessegli da Dio, potè affiancare la sua diuturna attività "medica" contro i pericoli ed i dolori più comuni e più diffusi, nella gente rurale. E' l'aspetto di "Taumaturgo" che in San Domenico emerse sia per i mali curabili dall'uomo, sia per i mali curabili solo da Dio, di cui il Santo fu mezzo, che lo rese così popolare e così profondamente venerato nel corso dei secoli, tanto da avere riconosciuti i patronati antiofidico (contro i morsi degli animali velenosi), antitempestario (contro le tempeste), antimalarico (contro la malaria), odontalgico (contro il dolore dei denti), antipestilenza (contro la peste) ed esorcistico (contro il Maligno).
La sua "carica apostolica" ormai è inarrestabile. Pur conservando la sede di riferimento a Trisulti, Domenico si sposta verso sud, nella catena dei monti Volsci. Sul monte Cacume, tra Patrica (FR) e Giuliano di Roma (FR), dietro richiesta di Amato conte di Segni fonda il monastero di Sant'Angelo. Ancora ramingo, in cerca di solitudine, lungo il corso del fiume Flaternus (non identificato) fonda una chiesa in onore della Madonna, rimanendovi due anni e mezzo. Successivamente, torna a Trisulti e decide di mettere quella fondazione, insieme alle annesse donazioni, sotto la protezione del Pontefice. All'uopo, si reca a Roma ed ottiene una bolla papale di riconoscimento del monastero e delle annessioni da Giovanni XVIII, quindi torna a Trisulti.
Domenico non dimenticava le fondazioni fatte in precedenza, ne desidera il benessere e la rettitudine; così decide di andare in visita al monastero di San Pietro in Lacu e parte verso l'Abruzzo, intenzionato a raggiungerlo attraverso la valle del fiume Aniene. Giunto presso la località Petra Imperatoris, vicino all'attuale Vallepietra (Roma), fonda un oratorio intitolato alla SS. Trinità e lo affida a un monaco fedele. Fatta la visita al monastero di S. Pietro in Lacu, mentre tornava a Trisulti, attraverso la valle del fiume Liri, nel territorio di Sora (FR), viene intercettato da Pietro di Rainerio, gastaldo di Sora, che, a sanatoria del male fatto fino ad allora alla popolazione a lui sottomessa, chiede di fare ammenda, costruendo un monastero benedettino nel suo territorio. Domenico decide di accettare la proposta del nobile e costruire il cenobio sulle rovine della villa di Cicerone, alla confluenza del fiume Liri con il torrente Fibreno nel territorio di Sora, vicino al confine con Isola del Liri (FR).
Domenico rimane a Trisulti fino a quando non gli giunge notizia dell'ultimazione del monastero di S. Maria a Sora. Dopo essersi accommiatato dalla popolazione e dai monaci di Trisulti, giunge a Sora, ma constata che i suoi progetti non sono stati rispettati. Pietro di Rainerio aveva fatto installare delle monache, anziché monaci benedettini, nella nuova struttura. Chiede spiegazioni a Pietro di Raineiro ed ottiene il ripristino dello stato delle cose, così come deciso in precedenza. Il Santo prende possesso del monastero e lo lascerà solo alla morte. In questo arco di tempo, Domenico fonda altre chiese: la chiesa di Sant'Angelo, nell'omonima località di Isola del Liri, la chiesa della SS. Trinità, sul Monte Montano, a poca distanza da Sora, ma in territorio di Isola del Liri, e la chiesa di S. Silvestro, dentro la città di Sora.
Durante un viaggio a Tuscolo, l'attuale Frascati (Roma), viene colpito da un tumore alla guancia. Giovanni, il suo fedele accompagnatore, lo convince a tornare a Sora. In breve, il male si diffonde in tutto il corpo e lo porta a spirare, il giorno 22 gennaio 1031, all'età di 80 anni.
Quel giorno Domenico, consapevole che era giunto il momento di lasciare questa terra, ricevette i sacramenti, esortò i confratelli a vita santa e li fece uscire dalla sua stanza. I monaci, rimasti a vegliare nella stanza adiacente, sentivano parlare il Santo in un colloquio sereno; era il Signore o un suo Angelo, venuto a prendersi il suo fedele servitore. Quando il Santo tacque, i monaci entrarono e ne trovarono solo il corpo: l'anima era nella gloria del Paradiso. Le sue spoglie furono composte e tumulate nella cripta della chiesa del monastero di Sora.
Il Papa Pasquale II lo eleva agli onori degli altari il 22 agosto 1104, con il titolo di San Domenico Abate, dedicandogli la chiesa ed il monastero di Sora in occasione della visita alle sue spoglie.

LA CRONACA ED I LUOGHI

  1. Monte Colfornaro è una località di Capodacqua di Foligno, centro colpito dal terremoto del 26 settembre 1997 ed in fase di ricostruzione. Diede i natali a San Domenico Abate. Secondo la tradizione locale, la casa di Giovanni e Apa fu quella all'apice del colle che sovrasta Capodacqua, chiamato, appunto, monte Colfornaro. Attualmente:
    • sul luogo, isolato e sospeso in mezzo ad un corollario di monti, dal celeberrimo Subasio alle pendici dei Sibillini, con la città di Foligno sullo sfondo, sussistono le macerie di un antica costruzione, resti delle scosse telluriche del 1997, che vengono tradizionalmente ritenuti la casa della famiglia di origine del Santo;
    • benchè l'esperienza di santità di Domenico si sia svolta tutta fuori, nella sua terra esiste un sentimento, una devozione autentica e profonda. San Domenico da Colfornaro è uno degli appellativi di san Domenico Abate.
  2. Foligno, l'antica Fulginium, sita sulla via consolare Flaminia, oltre ad essere il capoluogo di Capodacqua è stata la città del monastero di San Silvestro dove, ancora giovanetto, Domenico fu avviato agli studi ed alla santità:
    • sull'ubicazione del monastero vi sono interpretazioni discordanti. L. Iacobilli nel suo "Vite de' santi e beati di Foligno" (cit.15) afferma che all'epoca in cui visse Domenico il monastero si trovava "vicino alle mura di Foligno", mentre all'epoca in cui scrive, nel 1628, era posizionato nel centro della città con il nome di monastero di S. Spirito. Del vecchio cenobio, costruito nel 540 "presso le mura della città" dai santi Entichio e Florenzio, denominato prima monastero della SS. Trinità, poi, di San Silvestro, non c'è più traccia;
    • il Santo è Concittadino e Patrono minore della Diocesi della città umbra ed è festeggiato in ambito religioso, il 22 gennaio, data della morte, e la seconda domenica di Pasqua, festa della traslazione delle reliquie. Domenico lasciò la città perchè, come dice Tosti, "non iscapitasse nella grazia di Dio", cioè per avere più serenità, lontano da conoscenti e parenti ma, principalmente, perchè rifuggiva il clamore che già cominciava a circondare la sua santità (cit. 11). San Domenico di Foligno è uno degli appellativi di San Domenico Abate.
  3. Orvinio (RI) è una piccolo centro della Sabina, nel Lazio orientale. E' il comune nel cui territorio ricade la località Pietra Demone. Quando emigra da Foligno, San Domenico si reca in località Pietra Demone, nel monastero di S. Maria, dove, nel 974, veste l'abito di San Benedetto. Non esiste più traccia dell'antico cenobio. Non ci sono tracce di culto (citt. 18 e 41).
  4. Montecassino (FR) è la culla del fenomeno del monachesimo benedettino, almeno fino al 1000. Nessuna delle due agiografie parla di un soggiorno del Santo a Montecassino. Eppure autori, come ad esempio L. Tosti, nelle loro opere parlano di alcuni anni passati da Domenico a Montecassino, prima dell'inizio della sua lunga vita eremitico - cenobitica (cit. 11). A. Lentini, invece, attenendosi più strettamente alla tradizione, di cui è un attento e preciso ricostruttore, nega la circostanza (cit. 2).
    L'inserimento di questa parentesi nella nostra rivisitazione è basato su un ragionamento piuttosto semplice, ma fondamentale nel quadro generale che tratteggia la vita del Santo. E' stato più volte affermato che S. Domenico fu un riformatore pre - gregoriano importantissimo, un evangelizzatore instancabile ed uno straordinario veicolo di diffusione e radicamento della civiltà cristiana. Ma, fino al momento in cui rimase nel monastero di S. Maria, a Pietra Demone, non ebbe rapporti con l'esterno e non aveva acquisito coscienza della grave situazione di degrado del mondo laico e monastico del tempo. In sostanza, viveva nell'assoluta grazia di Dio, ma non aveva ancora conoscenza piena di ciò che lo circondava. In coincidenza temporale, l'Abate Aligerno, a Montecassino, aveva avviato un discorso di rinnovamento spirituale e morale del monachismo benedettino del tempo. Domenico ebbe senz'altro modo di essere illuminato dall'abate Aligerno sui temi più scottanti e urgenti da risolvere, per riportare ordine cristiano nel monachesimo e nel mondo laico, durante quel periodo presunto di soggiorno a Montecassino. Tanto è vero che Egli immediatamente dopo iniziò la sua opera riformatrice, dettata dalla Provvidenza, con la benedizione papale di Giovanni XV, mettendo in campo la sua grandissima carica di santità. I risultati si sono visti e la sua intransigenza è stata evidenziata ed enfatizzata, in particolare, dalla Vita scritta da Giovanni.
  5. Scandriglia (RI) è una piccolo centro della Sabina, nel Lazio orientale. Nella vita di San Domenico compare quando, dopo un periodo passato a Montecassino, Egli inizia la sua vita eremitica e si ferma sul monte sopra Scandriglia. Poi, su preghiera del feudatario della zona, edifica il monastero di S. Salvatore.
    In ottimo stato di conservazione, il monastero di S. Salvatore è attualmente di proprietà di privati. Solo la chiesa del cenobio risulta priva del tetto (cit. 41). Osservandolo, si valuta subito l'imponenza della costruzione: San Domenico ne realizzò numerose, in tempi relativamente brevi. Dell'origine di questo monastero parla addirittura il Beato card. Ildefonso Schuster, nel libro "L'imperiale Abbazia di Farfa. Roma 1987" (cit. 42).
    A Scandriglia, nonostante l'importante e reale presenza della sua opera, San Domenico non è venerato.
  6. Pizzoferrato (CH) e Lettopalena (CH), sono due piccoli centri, siti a est del massiccio della Maiella. Abbiamo individuato, in questi luoghi, il passo successivo della vita di San Domenico. Cosa dice la tradizione ?
    • Giovanni dice che, dopo Scandriglia, Domenico si sposta in una località chiamata "Domus" ed erige una chiesa in onore della SS. Trinità;
    • Alberico dice la stessa cosa, precisando che, sul monte Pizzi, edifica una chiesa in onore della SS. Trinità. Poi, pregato dai feudatari di quelle terre, costruisce due monasteri, uno sul monte Pizzi, intitolato alla SS. Trinità, l'altro ai piedi del monte, lungo il fiume Aventino, intitolato alla Vergine Maria. Lo Spitilli, lo Iacobilli e la letteratura successiva affermano che il luogo di costruzione è la Sabina ed i baroni sono quelli delle terre di Credenterio e Ratterio (citt. 15 e 16).
    In merito:
    • abbiamo accertato che nella Sabina non esistono montagne chiamate Pizi, Pizzi o simili, né fiumi chiamati Aventino, Avellino o simili;
    • non abbiamo trovato traccia di nessun Credenterio. Esiste un tale Ratterio di Antena nella storia di Morino (AQ). Costui, nel 1089 aveva donato alcune località, tra le quali Morino, al Monastero di Montecassino. La zona dove è ubicata Morino è a diretto contatto con l'area di influenza della Certosa di Trisulti (cit. 43);
    • i monti Pizi si trovano in Abruzzo, in provincia di Chieti, a sud - est del massiccio della Maiella, tra Pizzoferrato, Lettopalena ed altri comuni, e sono costeggiati a nord dal fiume Aventino;
    • nella zona dei monti Pizi, precisamente ad est, esistono le tracce della Domus di Iovanum, un'antico insediamento di greci spartani, del tempo della Magna Grecia (citt. 8 e 44);
    • nella zona di Pizzoferrato esiste una località denominata S. Domenico in Silvis, dove esiste una grotta che, secondo la tradizione locale, sarebbe stata abitata da San Domenico Abate, ed una chiesa intitolata a S. Domenico (cit. 45);
    • nella località Fonte da Noce di Lettopalena, sul monte Pizi, ci sono ruderi di un antico cenobio benedettino che, come posizione, potrebbero essere riconducibili al monastero della SS. Trinità (cit. 44)
    • a Lettopalena, lungo il fiume Aventino, esiste il monastero della Vergine Maria di Monteplanisio, che sarebbe stato fondato presumibilmente nel 1020, per ospitare i monaci del monastero benedettino di Taranta Peligna, profughi dopo un terremoto che aveva distrutto il loro cenobio. Il monastero di Monteplanisio, secondo quanto riportato nella storia di Pretoro, si identificherebbe nel monastero fondato da San Domenico lungo l'Aventino. Se fosse completamente attendibile la data del 1020, non compatibile con il passaggio di S. Domenico avvenuto senz'altro prima del 1000, il monastero di Monteplanisio sarebbe stato edificato trasformando quello fondato da San Domenico (citt. 8 e 44);
    • nell'area a est della Maiella il culto di San Domenico Abate è diffusissimo. E' venerato a Pretoro, Villamagna, Palombaro, Pizzoferrato, Palena, Lettopalena, Guardiagrele, Torricella Peligna, Lama dei Peligni, Tornareccio e Liscia. E' importante sottolineare che il culto di San Domenico è sopravvissuto a mille anni di storia, laddove era più radicato nel cuore della gente: nei luoghi dove il Santo ha messo piede. E' impossibile che una così grande diffusione del culto, non riscontrata in nessun altra zona dell'Abruzzo, del Lazio o dell'Umbria, viva di luce non propria (citt. 6, 8 e 9);
    • tra i personaggi della zona, elencati nella storia di Pretoro, emergono un conte di Chieti, chiamato Rotario, coinvolto nella fondazione del monastero di Monteplanisio, e un conte di Chieti Credindeo, anche lui, coinvolto nella fondazione del monastero di S. Martino in Valle, presso Fara S. Martino. I due nomi hanno una notevole assonanza con Ratterio e Credenterio, sopra incontrati (cit. 8 e 52). La Martini (cit. 51) citando Howe riferisce che il Ratterio potrebbe essere un tale Zatterio, cittadino di un insediamento urbano chiamato Frattura, ancora oggi sito tra Villalago e Scanno (AQ). Questa ipotesi potrebbe essere avvalorata dal successivo passo di San Domenico che, dalla Maiella, si spostò proprio a Villalago. Tale luogo potrebbe essergli stato suggerito dallo Zatterio!
    Questa così ricca coincidenza di indizi geografici, toponomastici, cultuali, archeologici, detta, più che suggerire, la conclusione che è quella che sono i monti Pizi, in Abruzzo, la zona dove collocare le costruzioni cenobitiche del Santo, dopo Scandriglia e prima di Villalago.
    Probabilmente, si è trattato di un errore di interpretazione dei testi; è bastato dire che "il Santo si spostò in Sabina, al monte Pizi", anzichè "il Santo si spostò dalla Sabina, al monte Pizi", che tutto il discorso è cambiato radicalmente, dando adito ad uno dei punti più controversi della vita del Santo. Del resto, se "Domus" fosse stato in Sabina, non ci sarebbe stato bisogno di precisarlo, perchè il Santo, a Scandriglia, quindi in Sabina, c'era già e si sarebbe limitato a spostarsi tra due località della stessa zona. Peraltro, nessuna delle due agiografie originali, parla di "Domus" come località della Sabina. E' evidente che si è trattata di una interpretazione successiva, evidentemente non congrua, alla quale si è poi, riallacciata tutta la letteratura, specialmente quella seicentesca e post - seicentesca.
    Ad onor del vero, c'è un altro aspetto da sviscerare: quello dell'identificazione di questo passaggio con la costruzione del Santuario della SS. Trinità, a Vallepietra, teorizzato in più parti. La relazione tra questo luogo e San Domenico Abate è molto forte, ma noi riteniamo che quell'edificazione sia stata operata solo successivamente, dal Santo. Mancano tutti i riferimenti geografici ed esiste solo l'identità della intititolazione della costruzione: alla SS. Trinità, peraltro molto ricorrente nella serie di costruzioni di San Domenico. Nel caso dei monti Pizi, in Abruzzo, invece, ci sono tutti i riferimenti geografici, toponomastici e, presi con il dovuto beneficio d'inventario, feudali.
  7. Villalago (AQ) è un piccolo paese a sud ovest di Sulmona. Non è citato nelle agiografie, ma è il centro dove ricadono ben tre nomi importanti nella vita del Santo: Prato Cardoso, Plataneto e S. Pietro in Lacu. Lasciati i monti Pizi, San Domenico si recò nella località di Valva e si fermò in una località chiamata Prato Cardoso, in eremitaggio. Poi, supplicato dai conti dei Marsi, costruì il monastero di San Pietro in Lacu. Si ritirò a Plataneto di monte Argoneta e vi visse per alcuni anni. E' in quel luogo che ebbe le visioni ultraterrene e raggiunse la completa maturità ascetica. Analizziamo la parentesi villalaghese:
    • a Prato Cardoso di Villalago c'è la grotta dove è vissuto il Santo. C'erano anche i tronchi che, secondo la tradizione locale, sarebbero stati il giaciglio del Santo. Erano tre pezzi di legno, lunghi m 1,10 circa e del diametro di 20 cm circa. Un incendio di origine accidentale, nel gennaio 1988, ha parzialmente distrutto due dei tre tronchi che, così, sono stati rimossi e posizionati sotto l'altare di San Domenico, presso la Chiesa Parrocchiale S. Maria di Loreto, a Villalago. Dentro la grotta c'è anche la sorgente dell'acqua che il Santo usava per detergersi e che compare in alcuni miracoli della raccolta contenuta nell'Analecta Bollandiana;
    • a ovest di monte Rovere, nell'omonima località, ci sono i ruderi di una pertinenza del monastero di San Pietro in Lacu, forse le stalle ed i depositi di foraggi. Il cenobio vero e proprio, se eretto secondo i criteri benedettini che San Domenico adottò in tutte le costruzioni che sono giunte fino a noi, non è più visibile, perchè rimosso, pietra dopo pietra, nel corso dei secoli dagli abitanti dei paesi vicini e di Villalago stesso. A pochissima distanza dai ruderi attuali c'è una perfetta spianata che, dalle misure di 50 x 50 metri circa, potrebbe essere il sito del vecchio edificio;
    • Plataneto è identificabile nel settore nord - ovest, la parte declive, del monte Argoneta, sotto il colle Lioni ed il colle Primo. In effetti, la sua collocazione è piuttosto vaga e confondibile con Prato Cardoso dal quale, idealmente, potrebbe dividerla la piccola valle del monte Marcone.
    A primo acchito potrebbe sembrare che San Domenico abbia effettuato due eremitaggi separati in due luoghi diversi; in realtà non è così e fa bene padre Antonio d'Antonio, nel suo libro "Villalago - storia - legende - usi - costumi" (cit. 9) a far coincidere i due luoghi, seppur non dando una motivazione.
    Facciamo un passo indietro. La Vita di Giovanni non parla di Prato Cardoso ma menziona solo Plataneto, dopo l'edificazione del monastero di San Pietro. La Vita di Alberico tratta dal codice Cassinese 101, utilizzato dal Bollando negli Acta Sanctorum e da Lentini nel testo rivisitato (cit. 2), parla solo di Prato Cardoso e della costruzione del monastero. Tutto quello che accade dopo la costruzione del monastero non viene identificato geograficamente, quindi si intende implicitamente avvenuto a Prato Cardoso. La stessa agiografia, tratta dal codice Cassinese 141, invece, è molto più vicina alla versione di Giovanni, perché parla di Plataneto dopo l'edificazione del monastero di San Pietro, ignorando completamente Prato Cardoso. Il dubbio che ci siano due luoghi di eremitaggio diversi, a distanza di poche decine di metri, sarebbe stato da prendere in considerazione solo se nello stesso testo fossero comparse entrambe le località. La sostanziale corrispondenza geografica dei luoghi citati fa così pensare che San Domenico si ritirò a Prato Cardoso (così chiamato nella Vita di Alberico - cc 101), poi costruì il monastero, lo affidò a pii monaci, e ritornò a Prato Cardoso, chiamato Plataneto nella Vita di Giovanni e nella Vita di Alberico - cc 141. Quello che accadde dopo, in particolare le visioni ultraterrene, ha messo d'accordo tutti, data la generale corrispondenza delle narrazioni.
  8. San Pietro Avellana è un piccolo comune della Provincia di Isernia, sul confine abruzzese - molisano, vicino a Castel di Sangro (AQ). Su preghiera di Borrello dei Marsi, San Domenico si spostò nella valle del Sangro e fondò un monastero dedicato a San Pietro, chiamandolo San Pietro Avellana, intorno al quale nacque il centro abitato omonimo. Sul posto abbiamo rilevato che:
    • fino a circa 10 anni fa c'erano i ruderi del monastero, vicino al centro abitato. Poi sono stati rimossi, per la costruzione di civili abitazioni (cit. 46);
    • San Domenico è conosciuto ma non esistono nè culto nè manifestazioni religiose. Esiste solo un'immagine del Santo, custodita nella chiesa parrocchiale (cit. 46).
  9. Trisulti è una località del comune di Collepardo (FR). Non ci sono assolutamente dubbi sull'identificazione della zona e delle opere fatte dal Santo in quei luoghi, anche perché la tradizione, in special modo la Vita di Giovanni, ne parla in maniera diffusissima. Dopo aver lasciato l'Abruzzo San Domenico si trasferì nel Lazio Meridionale e si rifugiò in una grotta sul monte Porca, presso Trisulti. Siamo andati sul posto ed abbiamo rilevato quanto segue:
    • la grotta sul monte Porca è stata recentemente riaperta al pubblico, dopo la ricostruzione del sentiero che dalla strada provinciale Veroli - Collepardo permette di accedervi. La chiesa è stata restaurata e dotata di un bellissimo mezzo busto ritraente un severo San Domenico, coniato sulla base di un antico originale, non rifinito, in gesso, detenuto dai monaci della Certosa di Trisulti;
    • il monastero di San Bartolomeo, circa 200 metri a valle della grotta, è visibile nella sua grandiosità. I ruderi delle mura danno solo l'idea della superficie ricoperta. Contemporaneamente al sentiero della grotta, è stato restaurato il tetto della sua chiesa;
    • a valle, sul torrente Fiume, esiste ancora intatto il Ponte dei Santi, dove, secondo la tradizione, San Domenico parlava alle comunità cenobitiche maschile e femminile, rispettivamente provenienti dai monasteri di San Bartolomeo e San Nicola di Mira;
    • dirimpetto al monastero di San Bartolomeo, sull'altro fianco della valle, nell'attuale località di Civita di Collepardo, insistono i ruderi, consistenti, del monastero di San Nicola di Mira, attualmente in sede di restauro.
  10. Il monte Cacume è un rilievo a forma conica, nella catena dei monti Volsci, condiviso tra i comuni di Patrica e Giuliano di Roma. San Domenico, dopo essersi insediato a Trisulti, si spostò verso i monti Volsci e, sul monte Cacume, fondò il monastero di Sant'Angelo. A Patrica, nell'area del monte Cacume, nell'attuale valle di Monteacuto, già denominata terra di Sant'Angelo, sono presenti ruderi di una chiesa, con resti di altri edifici e una grotta con una costruzione al suo interno. L'assenza di altri ruderi simili in zona e la toponomastica, oltre alla presenza della grotta, di una sorgente copiosa, denominata Sant'Angelo, ricorrente in molti monasteri fondati da San Domenico, conduce gli indizi verso l'unica soluzione possibile: sono i resti del monastero di Sant'Angelo (cit. 4);
  11. La Vita di Giovanni, dopo aver parlato del monte Cacume, aggiunge anche che, errando per monti e selve, nei pressi del fiume Flaternus, San Domenico costruì una chiesa che intitolò alla Vergine Maria, dove rimase due anni e mezzo. Non siamo riusciti, allo stato attuale ad identificare il fiume Flaternus o, come dice lo Iacobilli (cit. 14), la località Fraterno. A tal proposito stiamo lavorando sulle seguenti ipotesi:
    • è accertato che intorno al 1310, risulta che nella zona del Cacume, oltre al monastero di Sant'Angelo, c'era anche una chiesa intitolata a S. Maria. I due istituti pagarono le decime alla Santa Sede fino al XIV secolo (cit. 7). Essendo stata una costruzione subito successiva al quella sul Cacume, fa pensare che il Santo possa aver completato la sua opera, nelle vicinanze, con l'edificazione della chiesa di S. Maria. La metodologia descrittiva utilizzata in questo punto della tradizione, tende a suggerire che il Santo, però, si sia spostato sensibilmente, rispetto al Cacume, e sembra affievolire la forza di questa supposizione;
    • che si tratti di una costruzione sulle sponde del fiume Lacerno, nel territorio tra Sora e Campoli Appennino. Oltre alla notevole assonanza tra i due nomi, Flaterno (l'italianizzazione di Flaternus) e Lacerno, c'è una discreta similitudine ambientale tra la valle di questo fiume e le valli del torrente Fiume (Trisulti) e del fiume Sagittario (Villalago). E' notorio che gli eremiti sceglievano con cura i luoghi dove sostare, per avere massima solitudine e per rifuggire da persecuzioni o altri pericoli;
    • che si tratti di una costruzione sulle sponde del fiume Santa Maria, in territorio di Anagni. Potrebbe essere che il fiume abbia cambiato denominazione, assumendo quella del titolo della chiesa costruita dal Santo;
    • che si tratti di una costruzione a Falvaterra (Fabrateria Nova) o a Ceccano (Fabrateria Vetus). I nomi sono molto assonanti con Flaternus;
    • che si identifichi con il monastero di Santa Maria a Fiume, vicino a Ceccano, che pare di origine risalente al 1200, di fattura cistercense ed eretto su un complesso di antiche terme romane. E' l'ipotesi meno accreditata, perché su quel luogo ci sono notizie abbastanza certe. Comunque, il monastero sorge lungo il fiume Amaseno, affluente del fiume Liri;
    • che si identifichi con la chiesa di S. Maria delle Cese, proprio a valle della Certosa di Trisulti, a poche centinaia di metri dal monastero di S. Bartolomeo Apostolo. Gli indizi sono due. Per il primo: non è escluso che il torrente Fiume, un tempo avesse la denominazione Flaternus. Pur essendo un nome proprio, Flaternus potrebbe derivare dal sostantivo latino Flate che significa fiato, soffio. Insomma, qualcosa che passa, scorre, in maniera fluida. Un fiume scorre in maniera fluida, regolare. Questo potrebbe essere un motivo per il quale il torrente si chiama Fiume. Evidentemente, pur di piccole dimensioni come portata e lunghezza, ha un regime ed uno scorrere regolare che è più proprio di un fiume che di un torrente. In altre parole, Fiume potrebbe essere la traduzione dal latino all'italiano, del nome proprio Flaternus. Peraltro, la Vita di Giovanni, pur parlando diffusamente dell'esperienza a Trisulti, non accenna mai al nome del fiume sul quale è stato costruito il Ponte dei Santi. La tradizione era rivolta alla gente dell'epoca e forse era sottinteso che le due cose coincidessero. Il secondo indizio, invece, riguarda più strettamente la vita di S. Domenico. In particolare, la durata della sua permanenza nella chiesa di S. Maria ed il particolare momento storico in cui è avvenuta questa missione. S. Domenico aveva già costruito il monastero di S. Bartolomeo e ne era divenuto Abate. Una carica così importante, impone una presenza nel monastero, pertanto, se la sua assenza da Trisulti si è protratta per così lungo tempo, doveva avere la possibilità di un modo rapido di comunicare e, eventualmente, presenziare al monastero, nel caso di bisogno. Un luogo a portata di mano che, però gli preservasse la possibilità dell'eremitaggio. Una situazione che aveva cercato sempre ed aveva trovato solo a Prato Cardoso di Villalago, dove poteva controllare agevolmente il monastero di San Pietro in Lacu, pur non essendone il prevosto, ma conservava un bene preziosissimo: la sua vita eremitica, tant'è che i suoi biografi, in special modo Giovanni, sottolineano questo grande legame del Santo con Prato Cardoso. La chiesa di S. Maria delle Cese è in un luogo in vista, ma impervio e, ancora oggi, poco accessibile. Contemporaneamente é molto vicino a Trisulti ed al monastero di S. Bartolomeo, a differenza di tutti gli altri luoghi sopra menzionati.
    Esiste, però, una recente ipotesi di Howe (cit. 52) che ci ha letteralmente sorpresi. Basandosi sull'articolo "Per una toponomastica dell'Abruzzo e del Molise" tratta da "Abruzzo: Rivista dell'Istituto di Studi Abruzzesi 2", anno 1964, di Giovanni Alessio, Howe afferma che "Flaternus" deriva da "Flaturnus", nome medievale del fiume Sagittario. Questo significherebbe che sono ben tre i viaggi documentati nella nostra terra. Peraltro, in questa occasione, la visita sarebbe stata accompagnata da una presenza di due anni e mezzo del Santo.
    Abbiamo fatto una breve ricerca ed è emerso che l'unica chiesa intitolata alla Madonna, costruita lungo il fiume Sagittario, è la Chiesa Parrocchiale S. Maria di Loreto a Villalago. Sarebbe una conferma di quello che si è cominciato a pensare durante il 2000, quando è stata restaurata la facciata della nostra chiesa: l'epoca della costruzione potrebbe essere anteriore al 1500. Rinfoderati i facili entusiasmi, però, c'è da far rilevare i seguenti aspetti, contro ed a favore di questa teoria:
    • l'antico nome del fiume Sagittario è Fluturnum e non Flaturnus. Howe è tratto in errore dall'autore che cita, ma fornisce ugualmente una buona idea. La distorsione da Fluturnum a Flaternus non è neanche molto consistente, rispetto a tante altre riscontrate su tutti i testi trascritti a mano. Il problema è la datazione, anche approssimativa, del cambio del nome. D'Antonio (cit. 9) ritiene che il nome Sagittario possa essere derivato dal personaggio "Sagites", nominato in una pietra lapidaria rinvenuta nella zona di S. Pietro in Lacu, oppure da "Sagipta", l'antico proprietario terriero di una zona alle falde del monte Morrone, nei pressi di Sulmona, dove il fiume, forse, confluiva nell'Aterno - Pescara. Almeno il primo nome ha origini tardo romane o del primo medioevo (cit.9). La lapide riportava la seguente iscrizione:
      OBIDIA AMOR VIVA SIBI LOBDI SAGITES DECURIONIS FILIA

      Se la rinominazione del fiume fu prossima alla presenza di questo "Sagites", è da ritenersi anteriore al passaggio di S. Domenico. Il Flaternus, pertanto non potrebbe essere stato il Fluturnum, perché già chiamato Sagittario;
    • il fatto che il Santo, in quel particolare momento della sua vita, fosse Abate lo costringeva a tenere contatti frequenti con il suo monastero. La notevole distanza tra Villalago e Trisulti non permetteva questa comunicazione;
    • la notevole distanza che separa il monte Cacume e la valle del Sagittario non sembra trasparire dall'indicazione dello spostamento che è narrato nell'agiografia: "allontanatosi da quel luogo, si aggirava per monti colli e selve inesplorate, fino a quando giunse al fiume chiamato Flaternus". Per la verità, nelle indicazioni dei traferimenti fatti dal Santo, in entrambe le agiografie, non ne viene mai quantificata l'entità. Però, qui, tutto sembra suggerire di un movimento in un'area non eccesionalmente estesa e relativamente nuova. La zona del Sagittario, oltre ad essere molto lontana, era anche ben conosciuta dal Santo;
    • in relazione al Flaternus, non c'è nessun riferimento ai luoghi conosciuti e di grande importanza per il Santo che sono molto vicini all'attuale Villalago. Vale, comunque, la considerazione che le agiografie, essendo delle omelie rivolte al popolo di allora, non necessitavano di riferimenti geografici conosciuti. Infatti, raramente vi si fa riferimento a luoghi noti, per identificare i luoghi dove ha operato il Santo.
    La nostra ricerca futura sarà indirizzata proprio alla identificazione del fiume Flaternus.
  12. Roma. Il viaggio a Roma, dal papa Giovanni XVIII è narrato solo nella Vita di Giovanni ed è collocato dopo le costruzioni sul monte Cacume e prima dell'incontro con Pietro di Rainerio. Sorprendentemente il Tosti, nel volume "Vita di San Domenico Abate" (cit. 11), lo colloca prima delle costruzioni sul Cacume. I motivi del viaggio sono piuttosto chiari ma, forse fanno trapelare una mancata identità di vedute tra il Santo e Montecassino. A differenza dei monasteri costruiti dopo Scandriglia, quello di San Bartolomeo ed i successivi, pur rimanendo ligi alla regola benedettina, non vengono posti sotto il controllo di Montecassino, ma sotto la protezione del Pontefice, per una questione di sovranità territoriale. Emerge, però, un fatto: la figura di S. Domenico abate cassinese non è assolutamente osannata nella Casa dei Cassinesi. Il Tosti (cit. 11) lo sottolinea con sconcerto, mettendo in risalto al contrario la grande venerazione popolare nei suoi confronti.
    Segnali di grande stima, in passato, ci furono stati, per esempio, nelle figure del cardinale Alberico o del vescovo Leone Marsicano, entrambi cassinesi di grande rilievo, ma, in questa specie di silenzio, sorge il dubbio che San Domenico, nelle esperienze di Trisulti e Sora, non riscuotesse più la stima e la fiducia accordatagli, un tempo, dall'abate Aligerno.
  13. Vallepietra è un piccolo paese della provincia di Roma, al confine con le appendici occidentali dell'Abruzzo. Secondo la Vita di Giovanni, dopo il suo viaggio a Roma, San Domenico partì per andare a fare visita al monastero di San Pietro in Lacu e, giunto in una località denominata Petra Imperatoris (Pietra dell'Imperatore), edificò una chiesa intitolandola alla SS. Trinità.
    L'identificazione di questa costruzione è da sempre piuttosto controversa. Secondo noi, in linea con il pensiero e le motivazioni fornite da mons. Filippo Caraffa (cit. 25), il Santuario della SS. Trinità di Vallepietra si identifica con quella chiesa fondata da San Domenico a Petra Imperatoris.
    Mons. Caraffa fonda la sua affermazione su questi riferimenti:
    • il nome Petra Imperatoris risulta da parecchi documenti conservati nell'Archivio di S. Scolastica di Subiaco, che mettono in correlazione quella località con il monte Autore, presso Vallepietra;
    • risultano esistenti tre documenti che parlano di donazioni alla chiesa della SS. Trinità, con riferimento alla località di Petra Imperatoris; il primo documento data 4 marzo 1079;
    • la presenza di un antichissimo dipinto ritraente S.Domenico Abate, all'interno della grotta del Santuario. Di per sè non è prova, ma costituisce un indizio di relazione, quanto meno cultuale, tra il Santuario e San Domenico;
    • i lavori storici del 1600, precisamente di Iacobilli (cit. 14) e Spitilli (cit. 16), e del 1800: Tosti (cit. 11) che avrebbero già teorizzato la connessione tra il Santuario della SS. Trinità e San Domenico Abate.
    In realtà, questa ultima argomentazione è un vero e proprio boomerang per tutta la tesi sostenuta dal Caraffa, in quanto i tre autori e tutta la letteratura, formatasi sul filone, localizzano esplicitamente Petra Imperatoris nel monte Montano, vicino a Sora, dove attualmente vi sono rovine di un antico edifico dedicato alla SS. Trinità. La costruzione della chiesa della SS. Trinità sul monte Montano, secondo il Lubin (cit. 26) prima ed il Tosti (cit. 11) dopo, sarebbe avvenuta mentre il Santo, ritiratosi in quella località, aspettava la conclusione dei lavori di costruzione del monastero di Santa Maria a Sora. La letteratura spitilliana e quella successiva indicano la presenza di una chiesa di S. Angelo, in una località adiacente della chiesa della SS. Trinità. Paradossalmente, sia nella zona del monte Autore, sia in quella del monte Montano c'è o c'era una chiesa di S.Angelo, come evidenziato da L. Loffredo (cit. 26).
    L'ultima argomentazione contro la tesi del Caraffa, infine, è portata da Benedetto Fornari (cit. 21) che, in riferimento alle ricostruzioni fatte da Spitilli e seguenti, riporta che le donazioni fatte in favore della chiesa della SS. Trinità siano state operate da Umberto Malore e Giovanni Azzone, "notabili di quel paese". Sottolineando quest'ultimo punto, sempre secondo Fornari, la costruzione di San Domenico doveva essere vicina ad un centro abitato. Quindi, se si osserva che il Santuario di Vallepietra è alquanto fuori da un centro abitato, le donazioni devono essere, giocoforza, riferite ad un'altra chiesa della SS. Trinità, situata o prossima ad un centro abitato.
    Insieme alle prime tre motivazioni fornite dal Caraffa mettiamo le seguenti:
    • da un punto di vista cronologico, la costruzione della chiesa della SS. Trinità, secondo quanto desunto dalla Vita di Giovanni, è da collocarsi prima dell'incontro con Pietro di Rainerio, avvenuto, senz'altro (in questa circostanza le due agiografie concordano pienamente) al ritorno dal viaggio fatto a San Pietro in Lacu. San Domenico tornava a Trisulti, passando per il territorio di Sora, quindi, per la valle del fiume Liri. Dopo l'accordo con Pietro di Rainerio, San Domenico tornò a Trisulti e vi stette fino all'avvenuta costruzione del monastero di S. Maria a Sora. Solo allora diede il commiato ai monaci del monastero di San Bartolomeo. Questo svolgersi dei fatti è dedotto dalla Vita di Giovanni che è molto dettagliata nella parentesi di vita del Santo a Trisulti. La tradizione di Alberico, invece, molto rapidamente afferma che dopo che il Santo ebbe individuato il sito dove costruire il nuovo monastero, "Pietro edificò un monastero in onore di Maria, Madre di Dio, e si preoccupò che fosse fornito di tutto il necessario". Continuando, aggiunge: "Essendo state collocate in quel luogo, all'insaputa di Domenico, delle monache e conducendo esse una vita per niente conforme alla loro professione, e per di più essendo giunta la fame dei loro non buoni costumi alle orecchie di Domenico, questi fece chiamare Pietro ...........". Queste due frasi confermano la grande combacianza delle due agiografie, e indirettamente ci forniscono due dati importantissimi: la costruzione non fu seguita dal Santo, ed il Santo non era ad una distanza tale da poter intervenire tempestivamente sugli eventi, ma solo dopo esserne venuto a conoscenza indiretta. Da questo di deduce che:
      -*la tesi del monte Montano, in correlazione a Petra Imperatoris, sostenuta dallo Spitilli e seguenti è in contraddizione con la cronologia dei fatti, perchè Petra Imperatoris viene citata prima dell'incontro con Pietro di Rainerio, quindi prima della costruzione del monastero di Sora. L'area di Sora, poi, non viene mai citata nelle agiografie del Santo, prima dell'incontro con il gastaldo. La costruzione della chiesa della SS. Trinità è, allora, anteriore e non contemporanea a quella del monastero di Sora. I due fatti sono divisi da un avvenimento fondamentale: l'incontro S. Domenico - Pietro di Rainerio;
      -*è incompatibile con lo svolgersi i fatti l'ipotesi che, mentre si costruiva il monastero di S. Maria, S. Domenico si trovasse sul monte Montano, molto vicino e facilmente raggiungibile da Sora. E' plausibile che si trovasse a Trisulti, molto più lontano ma, principalmente, molto più fuori mano da Sora. Ecco perché S. Domenico non potè intervenire direttamente sul monastero di Sora, se non dopo aver saputo dell'ultimazione della costruzione e della presenza delle monache corrotte, al suo interno. Se il Santo fosse stato in un luogo prossimo a Sora, come il monte Montano, avrebbe influito direttamente sulla costruzione del cenobio sorano e, specialmente, sarebbe intervenuto tempestivamente sulla sua destinazione, contraria agli accordi presi con il gastaldo Pietro di Rainerio;
      -*la tesi del Caraffa che presuppone il viaggio di andata in Abruzzo, attraverso la valle del fiume Aniene, più lunga, ma senz'altro più comoda da Trisulti, è quanto mai attendibile. E' da considerare inoltre che, seppur le agiografie indichino solo il monastero di S. Pietro in Lacu, come punto di arrivo del suo viaggio in Abruzzo, in Sabina il Santo avesse costruito il monastero di S. Salvatore minore, e la strada maestra, per raggiungerlo da Trisulti, passa per la valle dell'Aniene;
    • da un punto di vista sistematico, si nota che le località indicate in entrambe le agiografie, sono state sempre identificate in maniera univoca, perché caratterizzate da nomi non ricorrenti in altre zone. La localizzazione del monte Pizi è avvenuta gradualmente e, ormai, pare fuori discussione. L'unico caso di luogo non oggettivamente identificato è quello del fiume Flaternus. Gli autori delle agiografie, hanno posto una indubbia attenzione, nel riportare i nomi dei luoghi più specifici e precisi possibile, in modo da lasciare una testimonianza che non conducesse a dubbi interpretativi. Un nome potrebbe identificare più località, in aree geografiche diverse, se, per esempio, derivasse da una particolarità morfologica del terreno. La ricerca del nome "proprio" di quei luoghi da parte degli agiografi, ha permesso, senz'altro, una ricostruzione molto più valida, storicamente, della vita di San Domenico. Lo stesso dicasi per Petra Imperatoris. Fino al Caraffa, che ha messo in correlazione i documenti rinvenuti che indicavano la posizione della località, con la Vita di Giovanni, Petra Imperatoris non era stata localizzata. Non esistono, almeno nella zona dell'Abruzzo e del Lazio Meridionale, altri luoghi con quel nome.
  14. Sora (FR) è una cittadina nella valle del fiume Liri, a ridosso del confine laziale - abruzzese, a poche decine di chilometri da Cassino. E' l'ultimo stadio dell'opera di San Domenico. Al ritorno dal viaggio a S. Pietro in Lacu, nel territorio del castaldato di Sora, venne contattato da Pietro di Rainerio, signore della città, che si pentì dei suoi numerosi crimini e chiese al Santo di poterli espiare, costruendo un monastero nella sua città. La località dove venne costruito il nuovo cenobio fu individuato lungo il fiume Liri, al confine meridionale della città, sulle rovine della villa di Cicerone. San Domenico vi si insediò dopo la sua completa costruzione e dopo che Pietro ebbe allontanato le degradate monache che, in un primo tempo, vi furono state ospitate. L'apostolato di Domenico, a Sora, durò circa un ventennio e terminò alla data del 22 gennaio 1031, quando morì. Durante questo periodo, il Santo non arrestò la sua volontà riformatrice e costruì altre chiese, nell'area tra Sora e Isola del Liri. Nel dettaglio:
    • la chiesa di Sant'Angelo, nell'omonima località di Isola del Liri. Attualmente, non ne esistono tracce, anche perchè nella zona è stato insediato un cimitero;
    • la chiesa della SS. Trinità, sul monte Montano, a poca distanza da Sora, ma sul territorio di Isola del Liri. Ne esistono ancora le rovine.
    Come può notarsi, le due chiese di Sant'Angelo e della SS. Trinità, al centro della disquisizione "Petra Imperatoris", di cui non si discutono le origini (cit. 14) abbondantemente riferite al Santo come periodo di costruzione, sono state collocate in questa fase.
    San Domenico di Sora è uno degli appellativi di San Domenico Abate.

LA CRONACA E LA CRONOLOGIA

Le agiografie non forniscono riferimenti temporali di rilievo, ai fini di una ricostruzione rigorosamente scandita della vita di San Domenico. Le uniche date che compaiono sono quelle della nascita, anno 951, della morte, 22 gennaio 1031 (Howe (cit. 52) sostiene che sia morto nel 1032), e della elevazione agli altari, 22 agosto 1104; emergono, poi, di tanto in tanto, accenni sulla durata di alcuni eremitaggi o alcune soste del santo, nel suo instancabile viaggio. Null'altro.
La prima opera che ha trattato la ricostruzione della vita del nostro Santo, nell'evo moderno, è stata "Vita di San Domenico da Foligno" di Gaspare Spitilli, del 1604 (cit. 16), seguita dall'opera omonima di Lodovico Jacobilli, del 1645 (cit. 14). Sulla scia di queste, è fiorita una discreta letteratura che poco si è discostata dalla traccia originaria. L'opera più importante tra queste è "Vita di San Domenico Abate", di Luigi Tosti, del 1856; di buona fattura anche l'opera omonima di don Serafino Rossi, parroco di Villalago, del 1892, che cerca di valorizzare il passaggio del Santo, a Villalago e nella valle del Sagittario. La vita dello Jacobilli annovera una ricca rosa di fonti, anche documentali ed appare attendibile per quello che concerne il quadro generale.
La pianta principale di questo filone fornisce le seguenti datazioni: Inoltre ci sono anche le seguenti indicazioni: I dati sono compatibili tra loro, ma non esauriscono i passaggi della vita del Santo e, pertanto, devono essere integrati. A tal proposito, ci sono un paio di problemi da risolvere: la fondazione del monastero deve considerarsi ad edificazione appena avviata o appena finita? qual è il tempo di impianto di un monastero?. Sono due elementi piuttosto labili. Il primo è da ritenersi come il momento di inizio dell'opera, inteso come inizio del progetto "monastero" che è costituito da una serie di passaggi tecnici, dalla costruzione dell'edificio, al reclutamento e installazione dei monaci. Il secondo è ragionevolmente quantificabile tra i 2 ed i 4 anni, anche in relazione alle dimensioni dell'opera che nel caso specifico di San Domenico, a giudicare da quello che è sopravvissuto, non dovevano mai essere ridotte. Con questi parametri, è possibile dare una datazione a quasi tutti i passaggi della vita del Santo, anche se rimane sempre una ricostruzione estremamente empirica e da prendere con il beneficio di inventario.
Nota: i simboli ??? al posto dell'anno indicano assoluta impossibilità di datazione, mentre i simboli XXX a fianco all'anno, indicano una datazione presunta in base a tutti i parametri prima specificati. Naturalmente, da questa scaletta si possono ricavare anche i tempi di permanenza presunti, nelle varie località. Come si osserva è un susseguirsi di eventi collocati temporalmente, con i pochi elementi a disposizione integrati dalla logica; si sottolinea che, seppur si tratti di una ricostruzione piuttosto presuntiva, dà una buona idea del succedere delle cose. Era doveroso farlo, anche per una questione di completezza.
Prima di affrontare l'analisi di altre ipotesi di datazioni, devono essere fatte delle precisazioni. Nell'eremitaggio di Prato Cardoso o Plataneto, abbiamo considerato i sei anni come arco di tempo massimo di presenza, comprendendo il periodo di costruzione del monastero di S. Pietro in Lacu, sebbene, dalla lettura dei testi, sembra che il Santo sia rimasto sei anni, dopo la costruzione del monastero. In questo caso, se dovessimo sommare i sei anni ai tre anni, presumibilmente impiegati per la costruzione del cenobio, ad un altro ipotetico anno, trascorso tra il momento del suo arrivo a Prato Cardoso e l'inizio dei lavori del monastero, i tempi si allungherebbero a dismisura. Analoga metrica è stata applicata nella valutazione del tempo di stazione a Trisulti. Globalmente, a Trisulti, San Domenico è stato 15 anni: tre in eremitaggio, sul monte Porca, dodici come abate del monastero di S. Bartolomeo. Anche in questo caso, come inizio dei dodici anni è stata presa in considerazione la fondazione del monastero, perché molto compatibile con l'inizio del periodo successivo a Sora. Lo Jacobilli, invece, fissa l'inizio di questi dodici anni al ritorno dalla chiesa di Santa Maria, nella località Fraternus (nella Vita di Giovanni chiamato fiume Flaternus). Quindi, sarebbe da sommare i tre anni di eremitaggio, con almeno cinque anni per la fondazione dei monasteri di S. Bartolomeo a Trisulti e Sant'Angelo sul monte Cacume, con due anni e mezzo di permanenza (indicati direttamente dalla Vita di Giovanni) a Santa Maria presso il fiume Flaternus, con dodici anni di abate a Trisulti. Il totale sarebbe di almeno 22 anni e mezzo a Trisulti, comprese le varie missioni esterne: uno sproposito.
Senza queste opportune accortezze, solo tra Villalago, Trisulti e Sora, San Domenico avrebbe passato ben 53 anni! Quando avrebbe trovato il tempo di fare i monasteri di Scandriglia, Lettopalena e San Pietro Avellana ? Bisogna aggiungere che fino a Trisulti, S. Domenico si spostò senza punti di riferimento: laddove si trovasse, fu la sua casa, la sua terra. A cominciare da Trisulti, invece, si spostò e viaggiò anche per lunghi periodi, facendo riferimento al monastero di S. Bartolomeo, prima, ed al monastero di Santa Maria a Sora, poi. Era avanzata l'età, ma, principalmente, era cambiato il ruolo: da anacoreta puro era divenuto abate; dalla solitudine dell'eremita era scaturito ad arringare le genti. La qualità dei suoi spostamenti ha subito l'influenza di questi due diversi modi di vivere: da viaggi senza meta e senza tempo, a viaggi di raggio anche lungo ma di durata limitata. Questo quadro ha determinato la diversa impostazione tra le costruzioni ante e post - trisultine che è ben rilevabile nei paragrafi precedenti.
Questa ipotesi di sviluppo cronologico della vita di San Domenico è attaccabile per l'esistenza di due fatti, registrati nel Chronicon Cassinese e collocati in date, evidenziate dal Celidonio nel "Monistero di S. Pietro in Lago" (cit. 5). Le due date sembrano compatibili tra loro, ma non si conciliano con numerosi altri dati di fatto. L'idea di correggere la data di 1025 in 995, della fondazione del monastero di S. Pietro Avellana, non è peregrina, ed è riscontrata in più testi (citt. 8 e 9) e non sarebbe null'altro che l'eliminazione di un probabile errore di copiatura: da settantaquattro è stato scritto quarantaquattro anni. Ricollocando tale fondazione al 995, il quadro tornerebbe assolutamente coerente.
Le difficoltà di interpretazione del testo dei Chronicon III, oltre nelle difformi conclusioni del Gattula e del Lubin, sono evidenziate anche da A. Taglienti (cit. 7) che data la fondazione del monastero di S. Pietro Avellana al 981, sottraendo i quarantaquattro anni dal 1025 (ipotizzato come data della donazione). Questa ulteriore versione dei fatti, però, mostra gli stessi limiti dell'altra, perchè compatta in maniera impossibile la costruzione di 4 monasteri (da Scandriglia a S. Pietro in Lacu) in 7 anni, eliminando, sostanzialmente, il periodo di eremitaggio a Prato Cardoso e l'esperienza a Montecassino. Di contro, viene allungato in maniera abnorme il periodo di apostolato a Trisulti, calcolato dal 983 al 1011, ben 28 anni!
C'è l'ipotesi del doppio viaggio in Abruzzo, per la costruzione in tempi diversi dei vari cenobi. In realtà, il doppio viaggio c'è stato ma il secondo è stato solo una visita. Entrambe le tradizioni sono concordi nell'accenno al monastero di San Pietro in Lacu che, quindi, doveva già esistere. In questo viaggio, il Santo ha costruito l'oratorio della SS. Trinità a Vallepietra, ma non può aver costruito il monastero di S. Pietro Avellana, che avrebbe richiesto dei tempi lunghi, senza la possibilità di rapidi scambi e comunicazioni con il monastero di S. Bartolomeo, di cui era già abate.
Un'ultima ipotesi sulla cronologia dei fatti, è quella di A. Martini (cit. 51) che sviluppa l'importantissimo tema del rapporto tra il Santo ed i poteri che finanziarono le sue opere, traendo delle conclusioni di grande rilievo, nell'economia dell'opera riformatrice del Santo. A tal proposito la Martini conclude evidenziando la capacità di San Domenico di calarsi perfettamente nel contesto sociale in cui viveva, frapponendosi tra i signori locali e la popolazione; se da un lato le sue costruzioni divennero un mezzo di espressione del potere di quei signori sul popolo, dall'altro divennero importante veicolo sociale ed economico a favore della popolazione stessa. Noi aggiungiamo che realizzarono in pieno il progetto rievangelizzatore del Santo che, comunque, non accettò imposizioni: l'episodio dell'allontanamento delle monache di Sora ne è la dimostrazione.
Ritornando alla cronologia dei fatti, la Martini, sulla base di documenti e sulle notizie riportate sul Chronicon, ridisegna alcuni passaggi in questa maniera: Se ci fosse la massima attendibilità dei documenti citati, saremmo a buon punto, avendo fissato numerosi ed importanti passi della vita del Santo. Purtroppo, anche su questi documenti, le tesi sono discordanti: Purtroppo, sia le fonti agiografiche, sia le poche e rare fonti documentali, non forniscono riferimenti assoluti, ma solo un canovaccio, ricco di particolari e globalmente attendibile. La discussione potrebbe essere oltremodo dilatata ed approfondita, ma avrebbe risultati sempre al livello ipotetico. La realtà è che, mentre la vita dell'uomo Domenico potrebbe riservarci sempre dei lati non chiariti, il messaggio del Santo Domenico è un messaggio fulgido e fresco.
Un ultimo quesito: quando è avvenuto il transito di San Domenico, per la celeberrima Cocullo ?
Non è facile rispondere. La tradizione vuole che Cocullo sia stata una tappa del viaggio tra San Pietro in Lacu e la Campania. Il Santo ha vissuto nella zona per almeno sei anni, quindi può aver visitato Cocullo in quel lasso di tempo, quindi tra 990 ed il 995. Tra l'altro a Cocullo, c'era una dipendenza del monastero di San Pietro in Lacu, la grancia di S. Giovanni in Campo. E' possibile, però, che quel transito sia avvenuto proprio al ritorno della visita a S. Pietro in Lacu, poco prima della fondazione del monastero di Santa Maria a Sora, quindi nel 1009. Su una campana di Anversa degli Abruzzi, rifusa nel 1818, è riportata una scritta che attesterebbe l'avvenuta benedizione di quella campana (sarebbe meglio dire il metallo di quella campana) contro le tempeste, da parte di Domenico abate (cit. 6). Se la dicitura è stata ripresa integralmente dalla campana originale, si può affermare che la benedizione è avvenuta durante il viaggio Trisulti - San Pietro in Lacu e ritorno, cioè, allorquando il Santo ricopriva la carica di Abate del monastero di San Bartolomeo apostolo. Questa può essere una indicazione sul percorso seguito, Villalago - Anversa degli Abruzzi - Cocullo - Marsica - Ciociaria.

LE CONCLUSIONI

Abbiamo ampiamente sviscerato i diversi livelli in cui avevamo suddiviso la vita di San Domenico e la speranza è quella di aver fornito un quadro completo e delle posizioni provate o supposte, nell'ottica di chi oggi, nel terzo millennio, conosce la figura di San Domenico, con i valori che trasmette ed i suoi luoghi.
Egli è un Santo importante nella storia della Chiesa Cattolica, perché è parte imprescindibile del filone del rinnovamento e della riforma pre - gregoriana e gregoriana. E' un anacoreta perfetto, ma si dimostra uno stupefacente cenobitico ed un grande apostolo in mezzo alla gente, grazie ad una convincente parola e ad una infaticabile, incessante opera.
La grandezza di questo Santo la si può misurare anche dalle sue visioni ultraterrene, a Prato Cardoso di Villalago. La visione della colonna di luce dai colori dell'arcobaleno è simile a quella di Ezechiele, narrata nei passi 26 - 28 del brano 1 (Visione del cocchio divino) del suo Libro. Il rapimento estatico, sulle tre colonne di luce, ha connotazioni analoghe a quello di San Giovanni evangelista, narrato nei passi 1 - 2 del brano 4 (il Trono di Dio e la Corte Celeste) dell'Apocalisse. Iddio apre a Domenico, così come aveva fatto a Giovanni, la visione del mondo. Stiamo parlando di uno dei dodici profeti e di uno dei dodici apostoli di Cristo.
Siamo davanti ad un Personaggio di immenso rilievo che è conosciuto essenzialmente per le sue virtù Taumaturgiche che sono un aspetto minore, se valutate nel quadro generale che abbiamo tracciato. Per la civiltà attuale, è più importante evidenziare il messaggio generale che San Domenico dà, perché è modello di vita santa nella difficile ed aggressiva società che ci circonda; in passato, le avversità naturali, gli animali, le malattie, le intemperie, erano i veri pericoli reali, poco neutralizzabili con i rimedi umani, che inducevano spontaneamente l'invocazione dei patronati del Santo. Questo culto subalterno, come lo chiama il Di Nola (cit. 6), non deve assolutamente essere accantonato, ma deve essere necessariamente associato ad un devozione profonda e basata sui valori di fondo che San Domenico ha predicato e messo in pratica.





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