E' conosciuto, impropriamente, come il Santo dei serpari o delle serpi, probabilmente perchè, tra i suoi numerosi miracoli, a Lui attribuiti dalla pietà popolare, uno riguarda la conversione di pesci in serpenti. Questa credenza popolare, nella Marsica, dove, nel passato, si venerava la dea Angizia, che avrebbe insegnato agli abitanti del posto a curarsi dai morsi di serpi, soppiantò il culto pagano. La devozione verso il Santo, trovò facile ricorrere a S. Domenico, invocandolo protettore contro i morsi velenosi delle serpi. Invocando l'aiuto di Dio e ricorrendo all'intercessione del Santo monaco, certamente la fede ha operato guarigioni anche dai morsi di serpenti. Gli studiosi delle tradizioni popolari hanno ragione, quando parlano di culti pagani, sostituiti da culti cristiani, però non hanno fatto un buon servizio al nostro Santo ed alla verità, quando sorvolano sulla sua vera statura di uomo, santo e grande protagonista della storia di quel periodo. Codesti studiosi conoscono le terre ove gli abitanti quasi convivono con le serpi e ne deducono distorte analogie. Tra queste terre, si distingue un piccolo borgo, alla periferia della Marsica, Cocullo. Là, in primavera, i contadini vanno a catturare le serpi, in stragrande maggioranza innocue, e, dopo aver tolto i denti, che potrebbero iniettare veleno, se le mettono intorno alla vita, come trofei. Il folklore s'è impadronito di questa tradizione che, lungi dal ridimensionarsi o sparire, è balzata, negli ultimi decenni, agli onori dei mass - media. In altri paesi e contrade è scomparsa. A Cocullo, ogni anno, nel 1° giovedì di maggio, un numero incredibile di curiosi ed i devoti del Santo, provenienti da varie parti dell'Abruzzo e del Lazio, sono soliti colà pellegrinare. La festa è conosciuta coma quella dei serpari, perchè durante la processione, intorno alla statua del Santo, si avvinghiano una mezza dozzina di serpenti e non pochi giovani, o meno giovani, del posto seguono la processione, tenendo in mano, o sulle spalle, qualche serpe di varia grandezza. Il folklore, pur degno di attenzione, nel nostro caso, ha messo in ombra la grandezza del Santo monaco.
Un grande storico tedesco, il Gregorovius, annovera S. Domenico Abate tra i grandi eremiti, che furono riformatori della Chiesa tra il I ed il II millennio. Scrive:"In celle, nascoste su impervie montagne, eremiti si ritiravano in estatico raccoglimento, ed anacoreti affamati di rinuncia, decidevano di espiare, con immeritate mortificazioni, le colpe dell'umanità peccatrice. In queste celle o caverne, viveva una schiera di profeti minori, di cui il montanaro ed il contadino, nel campo e nella selva, avvertivano il pio zelo. Ma queste migliaia di eremiti erano soltanto i gradini inferiori di una piramide. Nature più grandi salivano in alto, diventavano potenti in più vaste sfere della società e guidavano l'animo e le risorse degli uomini nei canali che alimentavano la Chiesa di Roma. Una medesima età videro Domenico di Sora (perché sepolto a Sora), Brunore di Segni, Gualberto di Vallombrosa, Guidi di Pomposa e Pier Damiani" (da Storia della città di Roma, vol. 2°, ed. Einaudi).
Tra i riformatori della Chiesa nei sec.X e XI S. Domenico è annoverato dunque come stella di prima grandezza. E' il portabandiera dei grandi monaci riformatori in Italia. La sua opera indefessa di predicatore e fustigatore di vizi e malcostume, nonché di fondatore di monasteri, diede apporto molto consistente alla riforma gregoriana, in quegli anni avviata anche nell'abbazia di Cluny, in Francia.
Domenico nasce a Foligno, città della verde Umbria nel 951.I genitori, messer Giovanni e monna Apa, lo affidarono ben presto ai monaci benedettini di S. Silvestro, perché imparasse a leggere, a scrivere ed a far di conto.
Intelligenza vivace, con ritmo crescente conforme all'età, progredisce nello studio e nelle virtù umane e divine, che rivestirono di amabilità la sua eterna fanciullezza. SI distingue anche nel canto sacro e nella pietà.
A 23 anni, veste l'abito monacale e incomincia a percorrere la via della santità alla scuola del servizio divino.
Impara a cercare Dio soprattutto nella lode comunitaria, nella conoscenza della Parola, nella preghiera e nel lavoro individuale e collettivo, come voleva la Regola benedettina. Per la sua vita santa e per la conoscenza della Parola di Dio, Domenico viene ordinato sacerdote. Con questi inizi, Domenico sarebbe potuto diventare importante là, nel monastero che l'aveva accolto. Ma sente irresistibile il bisogno ancora di cercare instancabilmente Dio nel silenzio, nella solitudine, nella preghiera. Per soddisfare questo gran desiderio, fa umile preghiera di lasciarlo andare. A malincuore consentono che parta per la Sabina, per mettersi alla suola dell'abate Dionisio. Quel sant'uomo, considerato l'alto grado della santità di Domenico, lo consiglia di andare a Cassino, ove fioriva la vita religiosa sotto la guida dell'abate Aligerno.
Impegnato a seguire Cristo nella rinuncia a se stesso e nella continua conversione, sulla via faticosa dell'ubbidienza, Domenico aspira sempre a raggiungere il livello più alto dell'ascesi dell'amore e, prostrato presso la tomba, chiede a S.Benedetto di illuminarlo per realizzare il suo proposito." Gli eremiti" - è scritto nella Regola di S. Benedetto - "non sono quelli nel fervore novizio della vita religiosa, ma coloro che sono lungamente provati in monastero. Costoro, fatti esperti ...., hanno appreso l'arte di far la guerra al diavolo .... Solo (essi), con l'aiuto di Dio, sono in grado di combattere contro i vizi delle carni e dei pensieri". In altre parole, solo quando sarà ben esercitato con prolungata ascesi, l'aspirante alla vita eremitica potrà affrontare, contando unicamente sull'aiuto di Dio, la lotta contro i vizi della carne e dello spirito. Non prima. Ma Domenico è già un asceta lungamente ben esercitato e pronto ad affrontare le prove che la solitudine gli potrebbe riservare.
Nel secolo X, la vita eremitica era in fiore, come fanno fede il Gregorovius ed altri storici. L'Appennino dell'Italia Centrale, segnatamente l'Abruzzo, era costellato di monasteri ed eremi. La ricerca di Dio appassiona tante persone, soprattutto giovani.
Domenico ottiene di allontanarsi da Cassino per raggiungere prima la Sabina. A Scandriglia, ignoto a tutti, sale sulla vetta del monte che sovrasta l'abitato. Un piccolo tugurio è il suo rifugio. Là, nel silenzio, nella preghiera e nella meditazione, avverte la vicinanza di Dio. Quella pace, però, non dura a lungo. La sua presenza non rimane ignorata. Numerosi villici lo raggiungono. Il marchese Uberto, feudatario della Sabina, gli offre la possibilità di erigere un monastero. Domenico acconsente. Il monastero, dopo poco tempo, si riempie di monaci. Il Santo però cerca ancora la solitudine. Il richiamo della vita ascetica è forte. Quando vede il monastero ben avviato, lo affida ad un discepolo e poi, parte con un giovane compagno, Giovanni, che d'ora in avanti lo seguirà per tutta la vita e sarà il suo primo biografo.
Sulla vetta del monte Pizzi, edifica una chiesa in onore della SS Trinità. Dopo qualche tempo, viene notata la sua presenza. I feudatari del luogo a chiedere di costruire due monasteri, uno sul monte Pizzi, in onore della SS Trinità e l'altro a valle, in onore della Madonna. Costruiti i monasteri, ecco ancora tanti giovani che desiderano diventare suoi discepoli, cioè monaci. Passano alcuni anni e il desiderio incoercibile della vita solitaria riaffiora. Dopo aver avviata e curata la vita del monastero, Domenico, novello Abramo, si rimette in cammino, alla ricerca di Dio e alla sua lode, nel silenzio, al cospetto del creato, accompagnato dal monaco Giovanni.
Questa volta si dirige in Abruzzo, regione, per chiara fama, costellata da molti romitaggi e monasteri.
Giunge nella contea di Valva, della diocesi di Sulmona, in una località selvaggia chiamata Prato Cardoso. Trova il luogo fasciato di silenzio, adattissimo alla preghiera. Un torrente impetuoso scaturisce a monte, e sotto lo sperone di monte Argatone, dove alcuni longobardi hanno eretto un piccolo oratorio in onore di S. Michele, minuscole sorgenti fanno corona a quella più grande, comunemente chiamata fiume Sega. Sono limpide acque che creano, in mezzo alle forre delle Gole del Sagittario, splendidi e tersi specchi d'acqua. Domenico non chiede di più al buon Dio: ha trovato il posto che da anni andava cercando. Non per nulla vi rimane a lungo, oltre sei anni. Con la preghiera sveglia l'aurora e conclude il giorno pregando e contemplando le stelle che gli richiamano l'infinita grandezza del Creatore. Le ore, i giorni, i mesi, gli anni Domenico li passa in colloquio con Dio, lodandolo, insieme con tutto il creato. I villici di quelle terre, dopo qualche tempo, s'accostano al Santo.
Secondo una tradizione attendibile, essi abitavano in casipole (villae) intorno al Lago Grande, oggi più conosciuto come Lago di Scanno, o intorno ad altri cinque laghi più piccoli, da cui il toponimo villae lacus. Vivono di pastorizia, di pesca e di povera agricoltura. Domenico, con zelo pastorale, prende a parlare loro di Gesù, a risvegliare in loro quei rudimenti della fede, lungamente sopiti.
Mentre Domenico si trova a Prato Cardoso, i conti dei Marsi lo pregano di edificare un monastero nelle loro terre. Come altre volte, il Santo non si sottrae all'onere della costruzione, convinto che sia la volontà di Dio. E così sorge, a circa un miglio di Prato Cardoso, il monastero di San Pietro in Lacu, non lontano dalle altre sorgenti che arricchiscono quel luogo. Il monastero diviene fiorente di vita monastica, fatta di preghiera e lavoro, centro di cultura benedettina. Per oltre quattro secoli, avrà una larga giurisdizione su monasteri e grancie nella valle peligna. Intorno al monastero e sotto la guida dei monaci gli abitanti si sentono protetti. Nasce così Villalago, cioè il borgo fatto di casipole vicino al lago. A buon diritto, i Villalaghesi ritengono S. Domenico loro fondatore e protettore. Oltre Villalago, altri borghi, come Scanno, Frattura, Castrovalva, Anversa, Cocullo, beneficiano della sua presenza e della sua santità. La vita comincia a rinascere in queste terre, rese pressoché deserte dai soprusi e dalle angherie feudali.
Quando il monastero di S. Pietro in Lacu inizia a funzionare, Domenico avverte non necessaria la sua permanenza. Narra il biografo: "Stabiliti ivi i religiosi sotto la direzione di un priore, egli, affamato di solitudine, lascia il monastero e si dirige verso il luogo chiamato dagli abitanti della stessa terra 'Plataneto', non lontano da Prato Cardoso". C'è un angolo affascinante, allora selvaggio che mai, ombreggiato da maestosi platani, che nascondono profonde caverne ai fianchi della montagna, una delle quali, ancora oggi, è additata al pio pellegrino come luogo ove il Santo soleva riposare. Domenico vi costruisce un oratorio per pregare in solitudine, con il compagno Giovanni. Quel luogo, dicono i suoi biografi, gli pare più suggestivo del mondo: un fiume spumeggiante ed impetuoso, il Sagittario, scorre giù, nelle auguste gole, con le sue acque cristalline. Numerose e scintillanti sorgenti incorniciano di fronte quel costolone del monte Argatone, quasi ad accompagnare, con il loro mormorio e la loro luce, la sua incessante preghiera. Piccoli e minuscoli laghetti o insenature, formatisi lungo il corso accidentato delle gole del fiume, pullulano di pesci, e cervi, lupi, orsi e miriadi di uccelli, con il loro canto, fanno insolita e canora compagnia. Se fosse dipeso sa lui, scrivono i biografi, dal quel romitorio non si sarebbe più allontanato. Per sei anni, infatti, non si muove se non per far rapide visite al monastero e avvicinare la gente semplice. Sempre secondo alcuni biografi, colà ha tentazioni diaboliche, che con la preghiera e la penitenza riesce a superare. Il Signore lo consola anche con le visioni celesti, paradisiache.
Un giorno, dall'alta valle del Sangro, vengono a pregarlo di costruire un monastero nella loro terra. Domenico, spinto dalla carità di Dio, li accontenta. Va e in poco tempo sorge il monastero di S. Pietro Avellana. La fama del Santo è conosciuta in largo raggio in quelle zone. Per tale motivo rimangono la memoria e la devozione verso il Santo, oltre che in S. Pietro Avellana, anche in molti borghi, come Pizzoferrato, Liscia, Tornareccio, Pretoro, che il Santo visita per evangelizzarli. A Pizzoferrato, dove passò il Santo c'è una graziosa chiesetta. A Pretoro, ogni anno, c'è la sacra rappresentazione del lupo ammansito dal Santo. E' così quasi tutti i paesi, e sono tanti, conservano la memoria ed il culto.
Dopo S. Pietro Avellana, passa alla solitudine di Trisulti, nella Ciociaria, in una grotta ai piedi del monte Porca, dove scaturisce un fresco ruscello. In questa grotta, rimane circa tre anni. Una copiosa raccolta di fatti prodigiosi colà avvenuti, rendono meno tranquilla la solitudine dell'anacoreta Domenico. Se la solitudine di Trisulti fiorisce di racconti miracolosi, la devozione popolare, ove Domenico è passato, in seguito, se ne impadronisce, inquadrandoli come operati nei propri territori. Indubbiamente Dio accredita l'apostolato dei suoi Servi con fatti portentosi e mistici.
Anche a Trisulti i villici scoprono, dopo qualche anno, il rifugio di Domenico e, come altrove, vien pregato di erigere un monastero. In seguito la richiesta di monasteri, da parte della popolazione è costante e, come già scritto, il Santo, animato da zelo apostolico, sempre spinto dalla carità pastorale, anche se, suo malgrado, è distolto al colloquio con Dio nella solitudine, si sobbarca a continue fatiche.
Ma perché tanti monasteri in questo periodo abbastanza travagliato della storia? La risposta è sempre uguale. All'ombra del monastero gli abitanti di quei tempi si sentono più sicuri e protetti. Vicino ai monasteri rinasce la vita. Si sa che i benedettini sono stati i pionieri di cultura e di progresso in Europa ed in Italia, in un contesto caratterizzato dalle grandi migrazioni di popoli. Immediatamente, prima e dopo il Mille, il mondo si riapre alla cultura, soprattutto per merito dei benedettini, che a lungo ne avevano tenuto accesa la fiaccola nei loro monasteri. Alla loro scuola, i villici imparano a coltivare la terra, a riscoprire l'artigianato. Vicino al monastero sono sicuri di non essere infastiditi da predoni e barbari. Chi desidera imparare a leggere e scrivere, nelle suole dei monasteri può accedere anche ai classici e a imparare a far di conti, ad utilizzare le risorse della natura e, soprattutto, a riscoprire la fraternità cristiana: sono le forze potenziali che precorrono il fervore della Scolastica e l'éra dei gloriosi comuni.
La vita di Domenico entra nel vivo nella vita della Chiesa come riformatore. Va a Roma, mette sotto la protezione dei Papi i suoi monasteri. La fama di santità l'ha preceduto. Papa e cardinali l'accolgono con segni di venerazione. Il Papa lo approva e gli concede numerosi privilegi. Al pari dei grandi monaci ricordati dal Gregorovius, Domenico, infaticabile, intraprende una solida evangelizzazione nel mondo rurale, combatte e fustiga il vizio, risolleva il livello spirituale e culturale del ceto rurale e del clero, addita a tutti il binomio benedettino: prega e lavora.
Non conosce riposo. Attraverso la valle dell'Aniene vuole ancora una volta dirigersi verso l'Abruzzo, per rivedere e spronare alla vita santa i suoi figli spirituali. Prima raggiunge una località, detta Petra Imperatoris, ove erige un oratorio dedicato alla SS. Trinità, quindi perviene in S. Pietro in Lacu. Si ferma per qualche tempo nel monastero e nel romitaggio di Plataneto. Conforta i monaci ed i villici con la parola di Dio e con preziosi consigli, a perseverare nel bene intrapreso. Visita anche altri monasteri viciniori, sempre raccomandando l'onestà e la santità della vita. Affranto da acciacchi e dagli anni ritorna attraverso la valle del Liri a Trisulti. Qui fonda un monastero, che gli è tanto a cuore, in onore di S. Bartolomeo apostolo.
Gli anni scorrono. Vicini a ottant'anni, d'ora in avanti dedica i suoi giorni prevalentemente all'evangelizzazione. Nelle sue peregrinazioni, predica il Vangelo, esorta ad una vita più cristiana, lontana dai vizi, ma ricca di opere buone. Cannavinnano, Guarcino, Vico, Collepardo e Sora sono gli ultimi borghi che visita. A Cannavinnano, nella chiesa dedicata alla Madonna, Domenico pronuncia il suo discorso di congedo dinanzi al popolo e ai tanti accorsi da Guarcino, Vico e Collepardo. Raccomanda a tutti di amarsi reciprocamente. Ecco alcune frasi: "Il Signore dice nel Vangelo: da questo conosceranno che voi siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri. La testimonianza dell'amore è l'adempimento dell'opera. In verità, l'amore è un segno certo con il quale i buoni si distinguono dai cattivi, i figli di Dio, dai figli del diavolo".
Sono preziose le sintesi delle sue prediche fatte dal suo discepolo e compagno Giovanni, soprattutto negli ultimi decenni. Come buon pastore, vuole portare le sue greggi nei pascoli della Parola e alla lode di Dio. Più volte, viene osteggiato, perseguitato da persone di malaffare. Il Santo monaco, per nulla spaventato, continua, perdona, converte i suoi avversari. La loro salvezza e la loro conversione le reputa più importanti della sua stessa vita. Un vero atleta di Cristo. Gli effetti benefici del suo zelo apostolico rimangono nella memoria e nella devozione secolare dei molti paesi da Lui evangelizzati e amati.
Ultima tappa, Sora. Da quel monastero si muove solo per un viaggio nel Tuscolano, per impegni concernenti il monastero. Mentre è in cammino s'ammala. Il fedele compagno Giovanni lo prega di far ritorno subito a Sora, ove pochi giorni dopo chiude gli occhi su questa terra, per riaprirli in cielo il 22 gennaio 1031.
La fama di santità accresciuta da quella di taumaturgo, spinsero papa Pasquale II, il 22 agosto 1104, a dichiarare Domenico santo.
Molti sono i luoghi ove S. Domenico è venerato Santo e invocato come Patrono o Protettore. Prima fra tutti Sora, ove le sue ossa riposano. Anche molti paesi della Ciociaria sopra ricordati, lo venerano e lo invocano.
L'Abruzzo, terra particolarmente atta alla contemplazione e all'ascesi, che per tanti anni lo accolse e godette della sua presenza benefica non è da meno nella devozione verso il Santo: Cocullo, Pizzoferrato, S. Pietro Avellana, Pretoro. Oggi, nelle feste a lui dedicate, fioriscono rappresentazioni e sagre. Il paese che lo ha dichiarato Primo Cittadino e lo invoca come Padre e Patrono, è Villalago, ove soggiornò, per circa sei o sette anni e rivisitò più volte, anche prima della morte. Arroccato sullo sperone del monte Argatone, alle cui falde scaturiscono decine di piccole e medie sorgenti ammirate dal Santo, ora imbrigliate insieme al Sagittario, da uno sbarramento artificiale che ha dato luogo ad un lago limpido, chiamato "Lago di S. Domenico", Villalago celebra ben tre feste l'anno in suo onore, promosse dalla confraternita che dal santo prende nome. La prima, il 22 gennaio. Una festa tutta religiosa e devozionale, con la celebrazione della santa messa al mattino. Per l'occasione, nei vari rioni del vetusto paese, si accendono dei focaracci, chiamati "fanoglie". Intorno alla fanoglia si prega, si canta e si consuma in allegria, un sobrio pasto. La seconda, il lunedì dopo Pasqua. Il popolo si riversa nel luogo dove S. Domenico visse per sei anni. Colà è sorta una graziosa e rustica chiesetta in suo onore. La grotta dove secondo la tradizione visse e riposò, é meta di pellegrinaggi. Una volta si andava in processione, pregando. Dopo la santa messa ed altre decozioni, la gente consuma la sua "pasquetta" in allegria. La festa solenne, invece, viene celebrata il 22 agosto, giorno della canonizzazione del Santo. E' una festa che da sempre ha richiamato folle di pellegrini, da Scanno, da Frattura, da Anversa e Castrovalva, e dai vari paesi della valle del Sagittario. Numerosi sono soprattutto i pellegrini da Fornelli, un paese dell'Alto Molise. E' una tradizione secolare. Ancora oggi arrivano a piedi, camminando per tre giorni, attraverso sentieri antichi, tra i boschi. Molti vengono in pullman e macchine private. La sera del 21 agosto c'è l'incontro della popolazione di Villalago, seguita da altri devoti, con i pellegrini di Fornelli, che partendo dalla chiesetta di S. Domenico, arrivano cantando le litanie lauretane sino alle porte del paese. E' un avvertimento molto significativo. Vuole ribadire i vincoli di fraternità cristiana nel ricordo di S. Domenico. Arrivano anche da Pretoro, da Liscia, da Tornareccio e da altri luoghi della valle del Sangro. E' una sagra che rinnova la solidarietà cristiana. Nessuno riparte se non ha fatto le sue devozioni e abbia baciato una reliquia del Santo, racchiusa in un prezioso reliquiario del Quattrocento.
La fama della santità e della statura morale di S. Domenico abate, non può, né deve essere offuscata dal folklore. Una "diminutio capitis" (diminuzione d'importanza) che non fa onore a nessuno e offende la verità storica o non ne tiene in debito conto. Chi conosce la grandezza dei riformatori studiati e citati dal Gregorovius o ammirati da Dante, addita Pier Damiani, Giovanni Gualberto, Guido da Pomposa e il nostro Domenico come luminari e benefattori dell'umanità.